di Daniela Santabbondio
Introduzione
Questa sintesi si propone di illustrare l’esperienza di anni di collaborazione con la clinica psichiatrica Indipendenza a Bellinzona (CH), dove seguo in terapia individuale e di gruppo pazienti soggetti a stati ansioso-depressivi. Il consumo di ansiolitici ha raggiunto picchi altissimi e spesso rappresenta l’unica misura terapeutica adottata per fronteggiare gli stati ansiosi. Per questo motivo la direzione di questo centro ha ritenuto utile esplorare metodologie alternative sul versante psicologico, sostituendo alla terapia farmacologica anche gruppi di rilassamento e di meditazione o unendo i due approcci in abbinamento.
Molte persone, nella società contemporanea, si sentono vittime di una concezione competitiva della vita, si sentono inadeguate, sia da un punto di vista lavorativo che relazionale e famigliare. Il clima esasperatamente competitivo e la conseguente visione negativa del futuro sono spesso all’origine di stati d’ansia e tensione. Un’eccessiva focalizzazione sul passato e il futuro fa perdere il contatto con la potenzialità e le risorse del momento presente; per queste ragioni inserisco nei gruppi di rilassamento una costante attenzione al “qui e ora”, attraverso l’osservazione del corpo, dei pensieri e dello stato emotivo.
“Se siamo concentrati su noi stessi, allora non ci adattiamo più, allora tutto quello che succede si trasforma in una sfilata che ci passa davanti, e noi assimiliamo, capiamo, siamo in rapporto con tutto quel che ci succede. In questo accadere, il sintomo dell’angoscia è molto importante, dato che più la società si trasforma, più è alto il tasso di angoscia che produce. La mia definizione dell’angoscia è che l’angoscia è la lacuna tra l’ora e il poi. Ogni volta che si abbandona la base sicura del presente e si comincia a preoccuparsi del futuro, si fa l’esperienza dell’angoscia. E se il futuro rappresenta una recita, quest’angoscia non è altro che la paura del palcoscenico. Siamo pieni di aspettative catastrofiche riguardo alle disgrazie che ci possono succedere, o di aspettative anastrofiche riguardo alle fortune che ci capiteranno. E così riempiamo questo intervallo tra l’ora e il poi con polizze d’assicurazione, programmi, lavori fissi e via dicendo. In altre parole non siamo disposti a vedere il vuoto fertile, la possibilità del futuro, se riempiamo questo vuoto non abbiamo futuro, abbiamo solo identità ”.[2]
Le tecniche di rilassamento sono utili per portare consapevolezza in stati più o meno elevati di ansia. Esse si rivelano estremamente efficaci in quanto permettono di affrontare con più tranquillità gli eventi difficoltosi o i momenti che destano particolare preoccupazione. Lo scopo è ridurre l’ansia o, quantomeno, portarla ad un livello accettabile.
Qualsiasi siano le dinamiche, le abitudini, le emozioni e i pensieri, interrompere un’attività non funzionale porta ad ottenere un temporaneo stato di salute.
Riferendomi al modello gestaltico, che rappresenta l’indirizzo terapeutico a cui maggiormente mi ispiro, credo sia molto importante considerare l’ansia come una manifestazione di quegli unfinished business (o gestalt insolute) che sono spesso all’origine degli stati ansiosi che le tecniche di rilassamento possono efficacemente fronteggiare, nella prospettiva di un superamento in chiave evolutiva.
L’ansia che spesso accompagna le gestalt insolute crea spesso la necessità di evitare le situazioni problematiche, rischiando di diventare a sua volta il terreno in cui si espande un senso di inefficacia personale e di inadeguatezza, fonte di ansia ulteriore.
La presenza mentale, o consapevolezza, che si attiva con il rilassamento rappresenta, invece, un modo di affrontare “quello che c’è”, agendo come un vero e proprio antidoto alla spinta verso la fuga.
Diventa consapevole di tutte le azioni quotidiane, le azioni di routine e nel mentre resta rilassato. Non occorre che tu vada in tensione. Se stai lavando il pavimento, a che ti serve essere teso? O mentre stai cucinando, a che ti serve essere teso? Non esiste alcun momento nella vita che richieda tensione. Questa è dovuta solo alla tua inconsapevolezza e impazienza. Sembra proprio che la tensione non abbia nulla a che fare con ciò che è fuori di te; è qualcosa che ha a che fare con te. Puoi sempre trovare una scusa all’esterno, perché essere tesi senza una ragione sembra stupido. Trovi una giustificazione all’esterno, in modo da spiegare perché sei in tensione. Ma la tensione non è all’esterno, dipende invece dal tuo modo di vivere sbagliato.
(Osho, 1988).
Neurofisiologia
Nel corso degli ultimi quarant’anni nell’ambito della ricerca neurofisiologica sono stati effettuati una serie di attenti studi per comprendere meglio i meccanismi fisiologici che vengono attivati durante la pratica del rilassamento e della meditazione. L’organismo riceve input che costituiscono stimoli e sollecitazioni di carattere sensoriale, ideativo, emozionale e viscerale. Essi vengono recepiti da strutture specializzate del sistema nervoso per essere trasmessi a livello dei nuclei della base (talamo, ippocampo, ipotalamo, giro cingolato, amigdala), e della neocorteccia che è deputata ad elaborare i dati sensoriali. Nelle operazioni in cui l’organismo processa i dati sensoriali, ideativi, emozionali e viscerali sono coinvolte aree diverse del cervello, con un diverso intervento dei due emisferi, il destro e il sinistro, ciascuno dei quali è capace di esprimere funzioni distinte. In particolare il sinistro è fondamentalmente deputato a processare processi cognitivi e razionali. Mentre il destro ha una competenza più intuitiva e creativa. La risposta che ne consegue coinvolge l’organismo nel suo complesso, sia a livello viscerale e biochimico, sia a livello di risposte motorie e mentali (ad esempio con processi ideativi, emozioni, sentimenti). Alcuni studi approfonditi in merito alle risposte neurofisiologiche alle pratiche meditative e di rilassamento (Benson H. et al., 1990.) documentano chiaramente come lo stato meditativo e di rilassamento sia effettivamente uno “stato mentale” distinto rispetto sia alla veglia e al sonno; in particolare questi studi documentano un cambiamento non solo per quanto riguarda il ritmo cardiaco, ma anche per quanto concerne gli emisferi che sono coinvolti.
Nello studio di Benson citato (condotto sui monaci buddisti di un monastero situato nel Sikkim indiano) emerge, infatti, come nel corso della meditazione vi sia un incremento dell’attività α e b, il che evidenzia lo “spostamento” dalla dominanza dell’attività cerebrale dall’emisfero sinistro verso quello destro. Questo spostamento comporterebbe un’attivazione di processi intuitivi e creativi in grado di fornire risorse più efficaci di quelle esclusivamente cognitive e razionali nell’individuazione di soluzioni ai problemi esistenziali del soggetto. In tutti gli studi, inoltre, il cortisolo, il principale ormone coinvolto nella reazione da stress, risulta fortemente diminuito. E ciò si accompagna ad altre modificazioni di importanti neuro mediatori coinvolti oltre che nella regolazione della risposta da stress, anche nel mantenimento del tono dell’umore, nella modulazione dell’attività cardiovascolare e del sistema immunitario. Tutto questo migliora dunque la condizione neurovegetativa del paziente che risulta più disponibile ad affrontare le situazioni quotidiane, anche quelle precedentemente caratterizzate da una risposta ansiosa. Numerosissimi lavori hanno documentato come praticare rilassamento e meditazione possa incidere direttamente su alcuni fattori di rischio (come l’ipertensione arteriosa), direttamente responsabili di importanti quadri patologici. La pratica meditativa e le pratiche di rilassamento sembrano dunque costituire una specifica tecnica antistress.
Le Tecniche
Esistono molti metodi, uno dei più conosciuti e praticati nei contesti clinici è il training autogeno. Efficaci pure il biofeedback, il neuro feedback, la meditazione, così come il rilassamento muscolare progressivo, la visualizzazione, le svariate tecniche ipnotiche, lo yoga, alcune tecniche di musicoterapia, il tai chi chuan, la terapia del respiro ed altri ancora.
1. Training autogeno
Il training autogeno[3], a differenza delle tecniche ipnotiche, le cui realizzazioni sono attivamente indotte dal terapeuta senza necessariamente produrre nel paziente il rilassamento profondo, ha lo scopo di far raggiungere lo stato autogeno, che è una condizione di passività assoluta.
Come conseguenza dell’apprendimento di questo nuovo atteggiamento, si sviluppano spontaneamente modificazioni psichiche e somatiche di senso opposto a quelle provocate nella mente e nel corpo da uno stato di tensione, di ansia, di stress. Si determinano, infatti, distensione muscolare e rilasciamento viscerale, sensazione di calore nel corpo, regolarizzazione funzionale, stato di calma, di benessere, di pace interiore. Il training autogeno viene proposto attraverso esercizi che consistono nel lavoro di rilassamento dei cosiddetti ciclo inferiore e ciclo superiore.
Nel ciclo inferiore rientrano esercizi che, lavorando a livello corporeo, inducono pesantezza e calore, portando attenzione al battito cardiaco, al respiro, alla muscolatura, (come pure al plesso solare, alla fronte, al viso ecc.). Essi permettono di controllare l’emotività e la soglia di emozione, e rendono possibile la regressione di molti disturbi psichici, quali ansia, stress, stanchezza psicogena, varie fobie come l’ereutofobia, la claustrofobia, l’ agorafobia.
La tecnica di rilassamento del ciclo inferiore è indicata inoltre in molti casi di patologie croniche di natura psicosomatica, come ipertensione, disturbi dell’apparato digerente, distonie neurovegetative ecc.
Nel ciclo superiore autogeno rientrano varie tecniche di visualizzazione che si apprendono dopo aver assimilato la tecnica del ciclo inferiore, quali ad esempio:
– Tecniche di visualizzazione per la salute, finalizzate a liberare le forze di autoguarigione.
– Tecniche di visualizzazione finalizzate ad eliminare abitudini nocive e dipendenze (come bulimia, fumo, alcol ed altre).
– Tecniche di visualizzazione per l’autorealizzazione, finalizzate, superando blocchi e difficoltà mentali, a raggiungere gli obiettivi prefissati.
2. Biofeedback
Si ispira ai principi del comportamentismo classico (stimolo, risposta, rinforzo) e aiuta il paziente a prendere controllo del suo comportamento.
L’organismo umano interagisce continuamente con l’ambiente esterno attraverso l’elaborazione di un comportamento adattativo. I comportamenti adattativi sono dei meccanismi automatici di autoregolazione i quali non interagiscono con il campo di coscienza della persona. Alcuni di questi meccanismi sono regolati dai sistemi neurovegetativo, endocrino e immunitario. A volte l’indipendenza di questi processi dalla coscienza può mancare: ad esempio, dopo una corsa si può percepire il cuore battere più forte, oppure se un organo ha un problema si può percepire dolore. Quando la persona percepisce questi segnali può agire per modificarli, formando un sistema elementare di biofeedback.
Questo metodo coinvolge nel suo funzionamento tre discipline diverse: psicologia, fisiologia ed elettronica. Una certa funzione corporea, come la tensione muscolare o la temperatura cutanea, viene monitorata con l’uso di elttrodi e di trasduttori applicati sulla pelle del paziente. I segnali captati vengono amplificati ed usati per gestire segnali acustici o visivi. Il paziente può così adottare strategie di controllo per imparare a controllare volontariamente la funzione monitorata.
Alla base della terapia di biofeedback si trova la teoria comportamentista. Secondo questa concezione, tre elementi essenziali – il rinforzo positivo, il rinforzo condizionato e la generalizzazione – intervengono nei processi di apprendimento. Queste tre componenti permettono di interpretare e gestire correttamente le terapie di biofeedback.
3. Neurofeedback
È una forma sofisticata di biofeedback che utilizza come segnale di feedback le onde cerebrali. Si apprende a modificare parametri dell’elettroencefalogramma quali l’ampiezza, la frequenza e la coerenza. Lo scopo di questa tecnica è quello di far sentire al paziente stati di arousal corticali e fargli apprendere il modo per attivarli o disattivarli volontariamente. Attualmente in fase diagnostica viene preceduto dall’elettroencefalografia quantitativa (QEEG) che permette di tarare il training secondo le caratteristiche dell’attività neurofisiologica del singolo paziente.
Nato per trattare i disturbi dell’attenzione e dell’iperattività, oggi il neurofeedback[4] è utilizzato in tante altre patologie quali: disturbi d’ansia, depressione, disturbi dell’apprendimento, epilessia, traumi cranici, disturbo ossessivo compulsivo, cefalee, disturbo post-traumatico da stress.
4. Pratiche meditive
Con il termine “meditazione” si intende un insieme di tecniche atte a consentire un processo graduale di transizione da uno stato mentale ad un altro e, in senso più generale, da uno “stato di coscienza” ad un altro. Con la meditazione infatti si persegue il superamento dell’identificazione “egoica” in quanto identificazione con funzioni parziali del sé che vengono invece assunte quale unica identità del soggetto .
La meditazione si differenzia dai processi immaginativi in quanto questi ultimi si basano sull’utilizzo guidato, e comunque volontario, di immagini o pensieri che forniscono messaggi o input di tipo rilassante – o alternativo, per esempio, a messaggi interiori compulsivi –, mentre con la meditazione si intende una condizione di coscienza “priva di oggetto” che coltiva il non attaccamento e l’accettazione di qualunque pensiero, immagine, o condizione corporea, consentendo col tempo il raggiungimento di uno stato mentale di quiete estatica, di trascendenza dalla condizione del bisogno.
Questa dimensione favorisce lo sviluppo e il contatto con risorse evolutive interiori che Perls definisce di “autoregolazione organismica”.
Un altro importante concetto teorico meditativo è quello del non attaccamento, esso è necessario per arrendersi, per fluire.
La meditazione è semplicemente un esercizio di presenza e di connessione con noi stessi, permette di acquisire un maggior senso della realtà e di portare chi la pratica in stati di consapevolezza sempre più elevati; con il tempo e la pratica può essere parte integrante di ogni momento della nostra vita.
È uno degli strumenti più efficaci per ritrovare tranquillità e serenità ed uno stato di maggior consapevolezza.
Respiro
Quando si è ansiosi si tende a respirare con la parte alta del torace e ad aumentare il ritmo respiratorio, provocando nell’organismo uno stato di iperventilazione e quindi di diminuzione dell’ossigenazione nel sangue; quest’ultima è responsabile della maggior parte dei sintomi fisiologici e delle sensazioni sgradevoli avvertiti nello stato d’ansia. È utile imparare a praticare la respirazione diaframmatica, cioè quella che scende nell’area addominale. In tal modo si riesce a regolarizzare il ritmo respiratorio e di conseguenza a migliorare l’ossigenazione del sangue, permettendo al corpo di equilibrarsi e rilassarsi.
A questo proposito Perls individua due nuclei importanti: eccitazione e carenza di ossigeno.
“Ansia uguale eccitazione più inadeguato apporto di ossigeno […]quando si osserva un attacco d’ansia, troviamo, invariabilmente, agitazione e difficoltà di respiro dall’altra”[5]. Vengono quindi proposti i concetti di eccitazione ed agitazione, dove per eccitazione non si intende ansia, ma un aumento dell’arousal (battito cardiaco, aumento del respiro, ecc.), Perls sostiene che la discussione sull’ansia sia importante specialmente perché apre la porta agli aspetti dinamici delle funzioni dell’organismo.
Inserisce l’ansia tra i sintomi dell’espressione inibita e in L’Io, la fame, l’aggressività (Trad. it. 1995) sottolinea come “nessuna altro sintomo dimostra il bisogno di una scarica adeguata dell’energia bloccata, come fa l’attacco d’ansia”. Propone un intervento sull’ansia prendendo in considerazione due aspetti: “l’eccitazione che soggiace all’attacco d’ansia deve essere liberata […] Trasformare la corazza del petto in una parte vivente di tutto l’organismo: dovete facilitare la ricostruzione della vostra respirazione”.
Secondo il padre della Gestalt, l’ansia è prodotta dall’eccitazione non sostenuta d un giusto apporto di ossigeno che si manifesta nel conflitto tra bisogno di respirare e autocontrollo inibitorio dei movimenti respiratori, che viene anche definita “fame d’ossigeno”. Egli propone di alleviare lo stato d’ansia agendo sul sistema respiratorio:“dobbiamo soltanto astenerci dalla sovra-compensazione, dal prendere un sospiro [1] Ibidem, p. 282-283. profondo” (…) nello stato di eccitazione, o di ansia, il metabolismo dell’ossigeno aumenta, perciò l’aria residua (il resto non esalato) contiene più CO2 del normale. Si deve eliminare questa aria cattiva prima che l’aria fresca possa fare sufficiente contatto con gli alveoli polmonari. Un aumento dell’inalazione è pertanto inutile. La conclusione è evidente: esalate dapprima quanto più completamente possibile. La successiva inalazione avverrà senza sforzo[6]”.
Applicazioni terapeutiche
Nei gruppi di rilassamento, pur utilizzando come base il training autogeno, inserisco dei momenti di meditazione, lasciando spazio alla mia ispirazione e tenendo conto dello stato emotivo di ogni singolo partecipante. In genere, più che leggere un testo, lascio che le parole fluiscano interpretando la realtà del momento e adattando il messaggio verbale alle caratteristiche degli utenti presenti.
Dopo aver indotto uno stato di osservazione e di rilassamento corporeo, introduco una visualizzazione di ambienti naturali, come la montagna, la campagna, il mare. Trovo molto importante riattivare la parte sensoriale: fare sentire profumi, visualizzare colori, percepire gusti e suoni. Anche la scelta della musica deve essere accurata, così come l’ambiente dove il gruppo si svolge, che deve essere silenzioso e con luci non forti. Trovo spesso utile portare a visualizzare una luce bianca che entra ad ogni inspirazione e dopo aver attraversato il diaframma raggiunge il centro energetico del nostro corpo che si trova due dita sotto l’ombelico (hara). Inducendo il contatto con questo centro attraverso un’espansione dell’inspirazione, si può stabilire una connessione con uno stato vuoto e di silenzio mentale, in particolare nella pausa fra inspirazione ed espirazione.
Trovo pure utile inserire delle polarità opposte per favorire il rilascio delle tensioni (come inspirare fiducia ed espirare insicurezza). Spesso nella fase centrale del rilassamento compio un’induzione ipnotica (o suggestione) ordinando all’inconscio dei partecipanti di lasciare andare vecchi schemi ripetitivi: questo permette loro di avere nuove aperture e visioni, autorizzandoli alla trasformazione e al cambiamento. Lavorando sulla sospensione del giudizio e sostenendo la piena accettazione di quello che c’è nel momento presente, favorisco lo sviluppo di un’“attenzione imparziale” di sé, offrendo la possibilità di contattare quell’altra voce interna che è la propria centralità, al di là delle parti in conflitto. Diminuendo il conflitto interno è più facile che accada uno stato di rilassamento. Quando la mente è concentrata sul respiro o su visualizzazioni varie, viene distolta dal processo del pensiero, distolta dai pensieri ossessivi sui propri malesseri, che possono creare stati di disagio o di ansia.
In sintesi, il paziente viene invitato a:
- Assumere una postura comoda e rilassata.
- Indirizzare la consapevolezza al respiro e al corpo, osservando senza identificazione pensieri ed emozioni.
- Lasciarsi andare a sensazioni di rilassamento, pesantezza, calore, mentre percepisce il battito cardiaco e il respiro. Passare in rassegna il proprio corpo rimanendo testimone di qualsiasi tensione. Talvolta praticare esercizi di contrazione muscolare per favorire la successiva distensione.
- Nel momento di maggior rilassamento, rivolgersi alla propria parte inconscia ricevendo le suggestioni proposte dal terapeuta e lasciando andare le emozioni negative.
Fra i miei obiettivi identifico, dunque, quello di portare il soggetto a sperimentare una respirazione più ampia e un risveglio della parte sensoriale. Faccio in modo che egli possa osservare i propri pensieri ed emozioni senza essere costretto a reagire, senza essere turbato o giudicare se stesso come buono o cattivo a seconda dei contenuti dei pensieri o delle immagini, diminuendo gli automatismi e attivando consapevolezza e cambiamento.
Può anche succedere che nella fase di maggior rilassamento emergano “ferite narcisistiche” pregresse, legate all’infanzia, che affiorino angosce o immagini. Considero questo salutare, un’indicazione da approfondire in un contesto più specifico di setting terapeutico individuale o di gruppo. A questo proposito trovo utile fare riferimento al gruppo che sto conducendo da tempo sulle dipendenze affettive; molti partecipanti presenti al gruppo di rilassamento vi partecipano e in questo contesto approfondiscono, rendendosene più consapevoli, gli stati di ansia legati a scarsità di relazioni o a difficoltà nel gestire relazioni in corso. Il mio lavoro include attività sia a livello corporeo che di elaborazione cognitiva, ed è volto a portare consapevolezza sugli stati emotivi esistenti, aiutando la persona a trovare maggior fiducia e centratura, superando nel tempo vecchi schemi di dipendenze o di fuga. Questo atteggiamento predispone a porsi nelle relazioni con maggior tranquillità.
Spesso si manifestano anche esperienze di grande apertura e profondo rilassamento. Dei partecipanti sostengono di non avere più fatto uso di sonniferi e che la qualità del loro sonno è nettamente migliorata.
In conclusione riporto alcune testimonianze che ho raccolto.
“La scorsa settimana ho partecipato per la prima volta al gruppo di rilassamento. Mi è stato chiesto di visualizzare un fiore colorato e percepirne il profumo. Ho sentito un immediato senso di pace. Da mesi mi svegliavo più volte durante la notte. Dopo quella seduta, la notte stessa ho dormito molto profondamente e ne sono rimasta stupefatta. Nei giorni successivi la qualità del mio sonno è nettamente migliorata”. A.M , donna, 56 anni.
“Sono arrivata arrabbiatissima, durante il rilassamento la rabbia si è sciolta, mentre il mio respiro si sintonizzava con le onde del mare mi sono sciolta e ho pianto. Ora sento dolcezza e tranquillità”. C.A , donna, 41 anni.
“Già dal mattino appena sveglio mi sentivo in uno stato di agitazione, nervosismo ed ansia. Ho partecipato al gruppo provando a non distrarmi e non seguendo il filo dei miei pensieri come spesso mi succede. Ho seguito le parole e questa volta ha davvero funzionato. Si sono sciolte le tensioni”. G.P, uomo, 52 anni.
“Da molto tempo soffro di un continuo stato di ansia, essa si manifesta, oltre che con una forte contrattura muscolare alle gambe al viso e al collo, con una respirazione alta e corta. Durante il rilassamento il respiro inizia a fluire e ad espandersi, le mie tensioni si rilasciano. Cambia radicalmente il mio stato emotivo e mentale, questo stato di profonda pace dura qualche ora”. A.M, uomo, 44 anni.
“Da quando partecipo a questo gruppo non prendo più sonniferi. Mi è successo, che dopo il nostro primo incontro, la sera stessa mi sentivo così assonnato da mettermi a letto senza prendere l’abituale sonnifero. Ho dormito profondamente tutta la notte e non riuscivo a crederci. Ora prima di addormentarmi mi sintonizzo con il respiro, inspiro ed espiro visualizzando luce e ombra. Non faccio più uso di sonniferi e sto diminuendo il consumo dell’ansiolitico” Z.M., uomo, 48 anni.
BIBLIOGRAFIA
H. Benson e altri, Three Case Reports of the metabolic and electroencephalogrphic changes during advanced Bhuddist meditation tecniques, Behav Med, 1990.
Bernt. H. Hoffman, Manuale di training autogeno, Astrolabio, 1980.
J.H.Schultz,, Training autogeno. Metodo di autodistensione da concentrazione psichica. Esercizi inferiori, ed. Feltrinelli, 1991.
G. Bertolotti, Il rilassamento progressivo in psicologia. Teoria, tecnica, valutazione, Carocci-Faber, 2005.
Osho, The invitation,. Rebel Publishing House GmbH, Cologne, 1988.
F.Perls, Qui e Ora psicoterapia autobiografica, Sovera,1991.
Thomas Pecherstorfer, Neurofeedback and Hrv Biofeedback , VDM Verlag, 2009.
Roland Rech et Vincent Beja, Gestalt Orients Occidents entre spiritualità et psychothérapie, Revue Gestalt, 2000.
[1] Terapeuta della Gestalt, si è formata presso il CSTG – Centro Studi Terapia della Gestalt a Milano e presso l’Ecole Parisienne de Gestalt di Serge Ginger a Parigi, conseguendo l’European Certificate of Psychotherapy.
[2] F. Perls, La terapia gestaltica parola per parola, Astrolabio, 1980.
[3] J.H. Schultz, Training autogeno. Metodo di autodistensione da concentrazione psichica. Esercizi inferiori, Feltrinelli, 1991.
[4] T. Pecherstorfer, Neurofeedback and Hrv Biofeedback, VDM Verlag, 2009.
[5] F. Perls, Qui e Ora psicoterapia autobiografica, Sovera, 1991.
[6] Ibidem, p. 182-183