Atteggiamento e prassi della terapia Gestaltica
Claudio Naranjo
Sintesi di Daniela Santabbondio
Nell’introduzione di Barrie Simmons viene sottolineato che Naranjo intende collocare la Gestalt in un contesto più ampio e portare il lettore a viverne l’esperienza.
Per proseguire questa esplorazione consiglia, da un lato di esaminare le ricerche e le riflessioni di psicologi e teorici critici, come Robert Ornstein, Roger Walsh, Charles Tart o Jacob Needleman, dall’altra i diversi insegnamenti indispensabili per seguire una via esperienziale di maestri come Namkhai Norbu, Suzuki Roshi, Ramana Maharshi o Idries Shah: questi ultimi incarnano ciò che Naranjo chiamava “l’unica ricerca”, e vanno avanti con l’autorità della realizzazione.
Per quel che mi riguarda conosco l’insegnamento di Ramana Maharshi: anche per quel che riguarda la mia esperienza questa è la vera e ultima “ricerca”;
fino a quando non solo ho realizzato chi sono, ma non mi stabilizzo in questa verità, questa vita non è che un sonno profondo.
Naranjo scrive che l’autoregolazione organismica è una fiducia nella spontaneità, il che non è diverso da essere se stessi: si intende vivere dal di dentro invece che dal di fuori, lontani dagli obblighi della preoccupazione per la propria immagine.
Il processo della terapia gestaltica si basa dalla parte del paziente su due fattori transpersonali: consapevolezza e spontaneità, mentre il terapeuta vi contribuisce stimolando e sostenendo l’espressione autentica e riducendo la parte patologica.
Il terapeuta gestaltico stimola il fare reale, oltre alle azioni superficiali, che, se non sono sostenute da un atteggiamento adeguato, non sono che un vuoto rituale.
Perls, il padre della Gestalt, credeva che l’essere fosse contagioso; essere per lui significava essere qui e ora, essere consapevoli e responsabili, essere dietro le proprie azioni ed i propri sentimenti.
Apprezzamento del qui e ora, della consapevolezza e della responsabilità, costituiscono il nucleo della terapia gestaltica; pur sembrando differenti sono in verità la sfaccettatura della stessa cosa.
Essere responsabili(capaci di risposta) significa essere presenti, essere qui, ed essere presenti significa essere consapevoli.
Se presenza, consapevolezza e responsabilità sono tutto ciò di cui abbiamo bisogno, non sono però tutto quello che vogliamo.
Dal punto di vista della terapia gestaltica molte delle nostre esigenze non si fondano sui bisogni ma sono un frenetico desiderio di trovare nell’ambiente sostituti di ciò che disconosciamo nel nostro essere.
Perls concepì la maturazione come passaggio dal sostegno ambientale all’autosostegno, i terapeuti della gestalt sono consapevoli della doppia ripercussione che il sostegno può avere nell’ambito della terapia: una base per la crescita o un sostituto per essa, di conseguenza prendono le distanze dall’amore compulsivo, e cercano quell’equilibrio tra sostegno e frustrazione.
La volontà di vivere nel presente è inseparabile dall’apertura all’esperienza, dalla fiducia nei processi della realtà, dalla discriminazione fra realtà e fantasia, dall’abbandono del controllo, dall’accettazione della potenziale frustrazione, dalla consapevolezza della morte potenziale, ecc.
Una modalità della terapia gestaltica è lavorare attraverso il confronto diretto con giochi ed evasioni, il modo per essere autentici consiste nell’essere autentici in questo momento.
La via verso l’autosostegno consiste dunque nel prendersi la responsabilità per le nostre azioni eomissioni presenti, la via verso l’autoregolamentazione organismica cpmsiste nell’abbandonare l’armatura della personalità condizionata in questo momento.
Un’altra modalità è quella di esagerare la propria falsità, identificarsi con il proprio Super-Io, inibire, criticare o sabotare se stessi. In poche parole, con queste modalità il terapeuta chiede di esagerare e sostenere la propria psicopatologia, i propri esitamenti, tutte le tendenze in conflitto con un ideale terapeutico.
Perls affermava che non puoi vincere nulla resistendogli, puoi superare qualunque cosa solo andando più a fondo in essa, qualunque cosa sia, se ti ci addentri abbastanza, scomparirà, verrà assimilata, nessuna resistenza è buona: muoviti con il tuo dolore, con la tua insoddisfazione, diventa un tuttuno con essa.
Usa il tuo rancore, usa il tuo ambiente, usa tutto quello che combatti e rinneghi, vantati di essere un così grande sabotatore.
Il terapeuta della Gestalt può usare l’energia bloccata sotto forma di sintomi o resistenze, solo stimolandone l’espressione e guidando delicatamente il suo corso finchè non avrà luogo una tipica trasformazione dell’emotività da nevrotica in sana.
Naranjo, per contro, non è sicuro che non possiamo mai superare nulla resistendogli e che la terapia gestaltica si possa vedere come una situazione di formazione, in cui resistiamo alla tentazione di evitare, fingere, calcolare, ecc.., e in questo processo apprendiamo a sentirci a nostro agio senza le stampelle che sono diventate parti della nostra personalità: egli crede che, se riusciamo a resistere in qualche misura e con vantaggio alle nostre devianze, ogni esperienza in questa direzione determina il rivivere un’esperienza emotiva correttiva.
La strategia di cavalcare il sintomo, invece di combatterlo, interviene quando raggiungiamo il nostro limite personale. Sempre secondo Naranjo i più capaci gestaltisti lo sanno ed alternano la via diretta a quella alternativa di cavalcare il sintomo con amplificazione, chiarificazione sviluppo ed identificazione.
Aiutato dal buon naso, il terapeuta dà suggerimenti e guida il paziente in modo che diventi il suo opposto: se il paziente non è diretto possiamo chiedergli di esserlo o di esagerare il suo essere indiretto, se evita il contatto gli si può chiedere di smettere di evitare.
Ogni volta che un paziente si interessa ad un problema specifico del passato e ne è preoccupato il terapeuta ha due strade:
1. Insistere sulla consapevolezza della situazione presente.
2.Portare il futuro problematico nel presente ed esplorarlo rappresentandolo.
Rappresentare il futuro significa agire su una fantasia, lavorare sulle aspettative o sull’immaginazione, è come lavorare sui sogni.
La terapia gestaltica consiste in autenticità e non manipolazione di se stessi e degli altri, è una pratica di consapevolezza nel rapporto, sebbene a volte si possa trattare di un rapporto interiorizzato, coltivare la consapevolezza è un atto di apertura: essere consapevoli di ciò che avviene qui e ora, nel campo della nostra esperienza, comporta accettare l’esperienza e abbandonare modelli o aspettative.
Perls definì (dopo Friedlander) il concetto di indifferenza creativa come l’abilità di rimanere in un punto neutro, svincolati dagli opposti polari concettuali ed emotivi, in ogni momento di consapevolezza.
Naranjo ricorda di Perls la grande abilità a rimanere come psicoterapeuta in un punto zero, senza lasciarsi intrappolare dai giochi dei suoi pazienti.
La terapia gestaltica condivide con il buddismo, lo zen ed il taoismo (ed alcune altre filosofie orientali)l’esercizio della consapevolezza anche sul dolore, e la morte e la figura del maestro che trafigge l’ego, l’io umano.
Si diceva che Perls assomigliasse ad uno sciamano, più che ad un maestro zen .
La terapia gestaltica, sempre secondo Naranjo, è sempre più sciamanica nello stile, nella fiducia nell’intuizione, nell’orientamento artistico-scientifico, nella combinazione di potere e semplicità, nei suoi modi non convenzionali e nella sua sfida alla tradizione, nella sua familiarità con paradisi ed inferni e nella sua tendenza dionisiaca all’apprezzamento della resa.
Perls non era diverso da uno sciamano quando si definiva cinquanta per cento figlio di Dio e cinquanta per cento figlio di puttana.
Diversi punti sono in comune fra Gestalt e meditazione, in particolare la pratica di fare attenzione all’esperienza presente, approfondire la consapevolezza del qui e ora:
la meditazione viene praticata in isolamento, mentre la Gestalt nel rapporto, la meditazione coltiva una consapevolezza retroflessa, che divora se stessa e si dissolve in una condizione di coscienza priva di oggetto.
Un altro fattore, comune alla meditazione e alla terapia gestaltica, è la sospensione della concettualizzazione, e questo porta la Gestalt vicina allo Zen.
Quando ci identifichiamo con la nostra personalità siamo il piccolo sé, o la piccola mente degli scrittori mistici, l’Io che, come diceva Perls, interferisce con l’autoregolazione organismica.
Un altro importante concetto teorico è quello del non attaccamento: esso è necessario per arrendersi, per fluire.
A proposito di esercizi sulla consapevolezza, Naranjo accenna in questo scritto all’importanza per chi ascolta di non approvare o disapprovare, di inibire il proprio linguaggio verbale o corporeo, come i sorrisi o le alzate di spalle, e prendere una posizione meditativa, non fare nulla oltre ad essere presente. Rilassare il viso, gli occhi e la lingua e non sforzarsi di capire, porre l’attenzione sia dentro che fuori a ciò che si vede e si sente, momento dopo momento.
Fare in modo di essere attenti, senza giudizio, offrire pura presenza, l’effetto non sarà banale.
Un altro esercizio è quello di portare attenzione al ruolo di persecutore e vittima.
Chiunque ha dei problemi ha un persecutore, o Super Io, e una Vittima: il tema dell’autocontrollo, dell’odio verso se stessi e dell’auto-manipolazione, è sempre presente in una nevrosi, si può scegliere in qualunque momento di focalizzarsi in questa scissione essenziale che sostiene il conflitto.
Primo stadio:
Portare attraverso la catarsi la manifestazione dell’autocontrollo (implicito nel funzionamento nevrotico e nei disordini psicosomatici).
Naranjo sostiene che, se i canali comportamentali per esprimere la rabbia sono bloccati da una proibizione interiorizzata, sarà difficile sperimentare questa emozione e che la drammatizzazione può essere utile per facilitare questo sentimento.
Secondo stadio:
Chiedere di interpretare la vittima (la personalità che è oggetto delle accuse del persecutore) ma non una vittima implorante, colpevole e sofferente, ma consapevole della scorrettezza e della distruttività delle ingiunzioni del persecutore, liberarsi del giogo del persecutore e rimproverarlo, con piena ostentazione di rabbia nelle parole e nei gesti.
Terzo stadio:
Rovesciamento del persecutore e modo per trovare un accordo.
Il Persecutore non deve venir amputato, ma assimilato; occorre fare un incursione in entrambe le polarità, fare accadere un processo di sintesi, di integrazione, di purificazione dialettica.
Il Persecutore o Super-Io è come un genitore che abbiamo creato per proteggerci e assisterci ma spesso ci spinge ad un cambiamento violento o eccessivo..
E’ importante che queste due parti dialoghino in modo da trovare degli accordi, che il Persecutore o Genitore interiore sia disposto ad ascoltare la vittima come un Bambino con i suoi bisogni.
Secondo Perls, la psicoanalisi tradizionale si ferma prima di arrivare a curare il punto malato: con l’approcio gestaltico secondo lui è possibile superare l’impasse.
La radice della psicopatologia dell’individuo, secondo la psicoterapia transpersonale è l’Io: al contrario della psicoanalisi, che fa corrispondere Io e Sè, i transpersonalisti definiscono l’Io un blocco interiore, una falsa personalità, che ostacola la strada verso il Sè più profondo.
La migliore traduzione del termine” Io”, nel senso in cui lo usano sia i transpersonalisti sia le tradizioni spirituali, non è l’Io della psicoanalisi ma il carattere, la somma complessiva dei condizionamenti e delle risposte addattive apprese dall’infanzia, esse non sono veramente noi e non sono più adeguate alla vita attuale.
Questa personalità compulsiva o “non organismica” dentro di noi nasce dall’esperienza del dolore nell’infanzia e, mentre una volta era una risposta di emergenza, in seguito si è radicata a causa di ansie e pericoli fantomatici.
Il concetto di carattere, come essenza della psicopatologia, è implicito nella teoria della Gestalt.
Perls sostiene che la persona sana sia quella che risponde al presente in un modo creativo, anziché con risposte fisse o obsolete, o in modo non compulsivo, non dovuto ad un programma antico.
Il successo del terapeuta, secondo Naranjo, sta in un buon occhio clinico per il carattere, come un buon maestro zen può rispondere con un bastone a ciò che arriva dalla coscienza non illuminata.
Importante è imparare a distinguere un carattere ossessivo da uno istrionico o narcisista ecc., c’è molto caos nella psicopatologia del carattere, e una notevole confusione riguardo a queste distinzioni.
Possiamo essere fenomenologici e intuitivi nel nostro approccio, ma beneficiare di una conoscenza teorica.
Naranjo sostiene che, vista la completezza e l’accuratezza della protoanalisi, questa è raccomandata più del sistema di Lowen.
Il tipo 9 corrisponde al masochista di Lowen, il tipo 5 al suo schizoide, il tipo 4 in bioenergetica è percepito come orale, anche il tipo 2 è percepito come orale. I tipi 3 e 1 sono uniti come ” rigidi”, i tipi 8 e 6 come psicopatici, il tipo 7 come misto.
Viviamo in un periodo storico nel quale sperimentiamo la presenza simultanea di vari metodi terapeutici. Abbiamo un contributo di tutte le culture anche nel campo dell’evoluzione personale: Naranjo sostiene che fra questa diversificazione di metodi ciò che è più vicino alla Gestalt è la meditazione Vipassana.
Pur vedendo la Gestalt come una riscoperta della Vipassana, Perls fu più vicino allo Zen; tuttavia la Gestalt ha un parallelismo con un metodo buddista tibetano poco noto che è lo Dzog-Chen (sconosciuto in occidente ai tempi di Perls), che implica lo sviluppo dell’attenzione e la spontaneità, vi è pure un legame stretto con il taoismo il quale parla di un tao del cielo, dell’uomo, delle cose e dell’individuo, una spontaneità profonda e intrinsicamente saggia.
Non dimentica di citare il sufismo e lo sciamanesimo, il quale è intuizione, guida della corrente di esperienza dell’altro; è pure un contagio di energia, oltre ad essere la più dionisiaca delle spiritualità, come la terapia della Gestalt.
La terapia della Gestalt è entrata nel mondo affermandosi competitivamente, agli inizi del movimento umanistico: Perls fece un ottimo lavoro nel competere con il monopolio della psicanalisi, un monopolio dogmatico che aveva esiliato alcuni dei suoi migliori talenti (come la Horney ) e continuava ad opporsi a molta della creatività allora presente.
Perls manovrò efficacemente la competizione, tanto che fu della Gestalt che si disse” qui c’è qualcosa con un maggiore potere terapeutico”.
Parlando dei buchi della Gestalt, Naranjo pensa però che Perls e Laura Perls siano stati presuntuosi nel pensare che fosse sufficiente la consapevolezza del corpo, l’attenzione alla posizione e alla gestualità, nel corso del processo terapeutico, e l’attenzione alle sensazioni corporee come parte del risveglio e specchio dei sentimenti.
Apprezza i gestaltisti della nuova generazione, che prestano attenzione al dissolvimento della corrazza corporea, rifacendosi a Lowen, Feldenkreis, Alexander, come pure allo yoga ed al Tai-Chi.
Pure il sistematico rifiuto dei vantaggi offerti dai consigli e prescrizioni comportamentali, che sono una indubbia risorsa in mano allo psicoterapeuta, sono secondo lui un buco nel repertorio terapeutico della Gestalt, come anche la tendenza alla durezza piuttosto che alla tenerezza.
E’ utile ricordare che stiamo lavorando per ricostruire la nostra capacità di amare, senza la quale non ci può essere soddisfazione profonda nè fine alla sofferenza.
A questo propoposito i gestaltisti, sempre secondo Naranjo, avrebbero molto da imparare dal processo Primal Fisher-Hoffmann, l’enfasi portata in questa terapia all’amore e al perdono può essere di integrazione alla terapia gestaltica.
La Gestalt è edonismo umanistico: è vero che l’espressione degli impulsi ha aiutato a dissolvere la repressione, l’ingiunzione a non trattenere ha favorito il processo di prendere coscienza degli impulsi, ma questo non ci deve portare a pensare che il processo contrario sia infruttuoso in sé.
La spiritualità non è stata edonistica ma ascetica, austera, a causa del riconoscimento che anche la restrizione può affinare l’attenzione ai nostri desideri e emozioni.
Nella pratica Gestaltica possiamo vedere che in essa si riflettono entrambi gli aspetti, una parte della Gestalt consiste nello stare senza il Persecutore, ma un’altra parte consiste nel stare “con” la propria esperienza senza agirla, un esmpio:”mi sento a disagio per quello che hai detto” invece di criticare.
Molti sono convinti che si debba vivere in modo Gestaltico anche al di fuori delle sedute, esprimere i propri sentimenti negativi sempre.
Secondo Naranjo ciò porta ad una spirale negativa senza fine, e senza un’assistenza terapeutica adeguata non è il caso: consiglia una visione gestaltica più ampia che includa la meditazione, un lavoro sul corpo e un punto di vista intellettuale sullo sviluppo umano che contribuisca alla crescita dell’indviduo.
La terapia della Gestalt svolgerebbe a questo punto ancora meglio la sua funzione di elemento prezioso, in un mosaico che la completerebbe e sosterrebbe.